Claudio La Camera, 03 luglio 2012, ore 23:00

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Luba Lukova, 1995.

C'è un esercito immenso di fantasmi che ogni anno attraversa il Messico dal Guatemala, dall'Honduras, Salvador, Nicaragua. Obiettivo: i parenti che vivono e lavorano in Messico o negli Stati Uniti. Fantasmi: famiglie intere, giovani appena sposati, bambini, anziani. Tutti senza nome, senza identità.
La politica migratoria messicana impedisce loro di attraversare ufficialmente il Messico. Devono farlo da clandestini, devono attraversare le strade più pericolose. Ogni anno ventimila di questi fantasmi saranno sequestrati dagli uomini del crimine organizzato. Saranno torturati, le donne stuprate. La maggior parte saranno uccisi e poi ritrovati a gruppetti in fosse comuni. Una piccola percentuale si salverà. Quelli che riusciranno a pagare un riscatto da 100 a 3000 dollari. I narcos contattano le famiglie e chiedono di versare il riscatto presso gli sportelli della Western Union che gestisce così un ingente traffico di denaro e si rifiuta di fornire gli elenchi dei beneficiari.

Per chi si è salvato è rimasto l'incubo di una notte senza fine in compagnia dei pianti delle donne stuprate, dalle grida dei compagni di viaggio a cui sono stati strappati gli occhi, dalle preghiere degli adolescenti senza soldi che pregano in ginocchio prima del colpo di pistola alla nuca. Chi si è salvato ha lasciato il suo racconto e una parte della storia degli altri. Un nome, una nazionalità, l'età, lo stato civile, il numero di figli di alcune vittime. Persone con una storia ma per sempre fantasmi, per sempre costretti ad ascoltare i pianti, le grida e le preghiere di chi non ha potuto avere una famiglia, una vita, una storia.

D.l., 21 anni, hondureño
Nella casa in cui ci hanno portato c'erano migranti che stavano lì da diverse settimane. Ad alcuni avevano tagliato le dita delle mani e dei piedi, ad altri avevano tagliato le mani o le braccia. I sequestratori li avevano mutilati perché le loro famiglie non pagavano il riscatto. C'erano almeno cinque bambini di 15 anni a cui avevano tagliato le mani; si lamentavano molto e di notte piangevano per il dolore. Si dissanguavano lentamente. Malgrado non ci facessero avvicinare a loro ho cercato di aiutare uno di questi bambini. Si chiama Eduardo, è hondureño, penso che sarà già morto perchè era stato sequestrato da almeno quindici giorni ed era molto debole. A lui avevano tagliato tre dita della mano destra e tre della mano sinistra. Di nascosto gli avevo dato il mio pezzo di pane. Ogni giorno ci portavano pane e acqua. Prima di iniziare con le botte, gli insulti e le torture.

L. P. 37 anni, nicaragueño
Siamo stati aggrediti in Chiapas, lungo la strada ferrata. Si vedeva di tutto. Mentre alcuni ci picchiavano, altri violentavano le donne. Ci hanno portati in un luogo che chiamavano "il punto" dove c'erano circa 35 persone tra donne, uomini e bambini. La mia famiglia ha pagato il riscatto e mi hanno liberato. Sono arrivato a Città del Messico e ho presentato la denuncia. Ma i poliziotti mi hanno minacciato; volevo che dicessi cose inesistenti, come quasi che fossi io il colpevole. Così ho deciso di ritirare la denuncia e di andare via.

I sequestri sono realizzati dalle organizzazioni criminali e dai cartelli dei narcotrafficanti (soprattutto dal gruppo degli Zetas) sempre in collusione con funzionari dello Stato federale e locale e soprattutto con ufficiali di polizia e dell'Istituto nazionale di Migrazione. Il Governo messicano si rifiuta di rivedere la sua politica migratoria a favore di una protezione dei diritti umani della gente che attraversa i suoi confini. D'altro canto la conflittualità storica tra i paesi confinanti (Honduras, Guatemala, Nicaragua, El Salvador) impedisce di portare avanti azioni comuni per limitare il movimento migratori dei disperati in cerca di un futuro.

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