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Mauro Bubbico, 31 dicembre 2016, ore 23:00

192 el capro
Mauro Bubbico, 2016.

El Capro falcetto-diavoletto congiunge il carnevale di San Constantino Albanese e il rito del falcetto di San Giorgio Lucano. È la sintesi di tutti i carnevali della Basilicata. Rappresenta il mascheramento dell'azione del mietere: i mietitori si comportano come se l'operazione fosse in realtà una battuta di caccia al capro. Il titolo del manifesto è una strofa della Canzone della Rabata, anonima testimonianza letteraria di dolore e di ribellione, di rampogna e di minaccia.

In testa al capro ci sono un toupet di rose, accessorio tipico del carnevale di Tricarico, e una corona. I simboli della corona e della civetta derivano entrambi da un mio precedente lavoro sull'identità di Gravina in Puglia. La corona è ripresa dai finimenti del cavallo presente nel museo contadino di Gravina mentre la civetta è presente su un vaso greco del museo Ettore Pomarici Santomasi. Le culture agropastorali delle murge sono così tutte idealmente strette in un afflato corale di buon auspicio.

È un canto "aperto", una testimonianza letteraria di dolore e ribellione e come tutte le composizioni popolari nacque con il contributo di più persone che in comune avevano le esperienze di miseria e l'aspirazione ad una vita migliore. È un canto di lotta che parla delle condizioni dei contadini della Rabata.La canzone della Rabata nacque una sera in un gruppo di contadini, fra cui Rocco Tammone, Giuseppe Cetati, Giuseppe Paradiso, presente Rocco Scotellaro (che collaborò in una misura non precisabile all'elaborazione della canzone).
Ernesto De Martino, Furore Simbolo Valore, Il Saggiatore


Canzone della Rabata

La Rabatana è tutta ruvinata
andiamo facendo sempre frate o frate.
Promettono le strade e le latrine
poi fanno le chiazzette e l’assassine.

Adda fernesce sta cuccagne
e se nun ce vulite sta
le mazzate hann’a’ cammina.
Ce chiammeno zulù e beduine
ca nuie mangiamme assieme a le galline.

Int’a’ Rabata nun ce so signure
nun c’è né Turati né Santoro.
Nuie simme a’mamma d’a bellezza
nun simme né trifugghie e neanche avezza.

Voi che fate l'intelligente
non capite proprio niente.
Se nun fosse pe’ li cafoni
ve mangiassive li cuglioni.

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