Libri al rogo

Il primo capitolo del Terzo Reich si apre con un rogo di libri del 1933, l’ultimo si chiude in dissolvenza sui campi di sterminio.
“Là dove bruciano i libri, si finisce con il bruciare anche gli esseri umani” fu la premonizione di Heinrich Heine.
È ciò che accadde. I roghi come le camere a gas: la distruzione dei libri fu il primo passo verso la distruzione degli ebrei, perché la parola stampata è essenziale alla sopravvivenza e all’identità non solo per il “popolo dei libri”.
Buzzurro arricchito

In questi giorni si parla e si scrive molto del film di Antonio Albanese, uno dei comici più bravi che il nostro bel paese si vanta di avere e del suo personaggio Cetto La Qualunque, ricalcato sulla figura del presidente del Consiglio italiano.
Si è detto che il suo personaggio, con la sua comicità volgare, presuntuosa, arrogante, sia imitazione di titolari di imprese edilizie locali, che sicuramente ognuno di noi conosce: personaggi pieni di sé, intrallazzisti, così cafoni da intercalare nei loro pseudo-discorsi la frase “che cazzo capisci tu”, convinti di poter comprare tutto e che tutte le persone sono acquistabili, “dipende dal prezzo”. Buzzurri arricchiti.
Tango (di esperienze e sentimenti)

Tango, che agli albori della computer art e dei videoclip, nel 1983 ha vinto l'Oscar come miglior cortometraggio animato, se pur in bassa definizione, artigianale e con difetti, è forse il lavoro più riuscito e conosciuto di Zbigniew Rybczyński

Una palla finisce all'interno di una stanza vuota attraverso una finestra, un ragazzo entra per raccoglierla. Come in un tango le figure si incontrano, si toccano, si sfiorano, interpretano un'azione della loro vita senza mai uscire di scena e ripetono incessantemente la loro parte come trasportate sul carrello di una fotocopiatrice che va su e giù in un movimento paranoico e sincronico. Trentasei personaggi escono ed entrano con un comportamento ripetitivo, si incrociano per occupare lo spazio stretto di un'unica anonima stanza, dal pavimento di legno e dalla carta da parati blu a motivi geometrici, senza mai scontrarsi, come fossero figure bidimensionali, ritagliate, in azione su un set claustrofobico. Zbigniew Rybczyński ha dovuto disegnare e dipingere circa 16.000 mascherini trasparenti e fare diverse centinaia di migliaia di esposizioni su una stampante ottica. Ci sono voluti ben sette mesi, sedici ore al giorno, per realizzarlo. «Il miracolo è che il negativo durante il processo ha subito un danno minimo – ha dichiarato il regista – e ho fatto meno di cento errori matematici su diverse centinaia di migliaia».
Elogio del monarca savoiardo

Sì, quei sfottuti stronzi mi cacciarono da Matera. Mi tolsero la residenza, mi cacciarono. Venni qui a Mattina con Marietta, Francesco e Luisa. Trent’anni ancora non li avevo.
Ero falegname a Matera. Lavoravo legno, la mia passione. La passione ce l’avevo da ragazzino quando badavo alle vacche. Impegnavo il tempo a intagliare legno. Ricavavo bastoni cucchiai e mestoli. Imparai da massar Nicola: mi affilava la punta dell’attrezzo, m’istruiva sul legno d’olivo di ciliegio d’olmo e di cerro. Veramente imparai anche con il latte per il formaggio e la ricotta. Non continuai con le vacche, mia madre mi volle artigiano. Mi affidò a mast’Eustachio.
Nunc est bibendum et libandum

Dedicato a Giovanni Artuso,
amico e compagno di mangiate e di bevute nelle varie sagre del campanaccio
Vino rosso a fiumi, di quello buono fatto nelle cantine del paese, salsiccia, fra le migliori delle produzioni lucane, arrostita alla brace, frittelle cotte con olio extra vergine d’oliva (l’ pett’l’), latticini di qualsiasi tipo, anche a forma di animaletti, e un suono assordante, coinvolgente, eccitante di centinaia di campanacci che rimbomba per tutto il paese dal pomeriggio e per tutta la notte. È la sagra del campanaccio di San Mauro Forte, in provincia di Matera, che si svolge ogni anno a metà gennaio in onore di Sant’Antonio.
Avanti popolo

Progetti/ Confronti/ Incontri
34 designer interpretano il PCI
Roma
14 gennaio / 6 febbraio 2011
Casa dell'Architettura
A cura di Bruno Magno e Stefano Rovai
Trentaquattro designer italiani interpretano in termini grafici e visivi l’idea del Partito Comunista Italiano oggi. Trentaquattro autori che si distinguono, oltre che per l’ovvia soggettività di ciascuno, anche per dati anagrafici: due generazioni a confronto su un tema di forte rilievo storico, politico e sociale per il nostro paese.
La storia siamo noi

Stefano Faoro*
Si inaugura domani, 14 gennario, e rimarrà aperta fino al 7 febbraio, alla Casa dell’Architettura di Roma, "Avanti popolo. Il PCI nella storia d'Italia", 70 anni di storia del nostro Paese raccontati attraverso documenti originali esposti nelle bacheche o digitalizzati, le vignette di Staino e Altan, filmati d'archivio e il film di Mimmo Calopresti "Anch'io ero comunista", immagini e interviste a registi, appassionati e sceneggiatori. All'interno della mostra, una sezione dedicata alla grafica e curata da Bruno Magno e Stefano Rovai dal titolo "Progetti/ Confronti/ Incontri. 34 designer interpretano il PCI". Trentaquattro grafici interpretano la propria idea del Partito Comunista Italiano con una formula singolare: ciascuno dei diciassette senior designer, oltre a tradurre visivamente il proprio modo di essersi rapportato, in maniera diretta o indiretta, con il Partito, ripercorrendone valori, significati, illusioni o disillusioni ad esso legati, ha selezionato un giovane progettista grafico, nato all'incirca nel momento in cui il partito si è sciolto, invitandolo a confrontarsi con lo stesso tema e con lo stesso mezzo, il manifesto 70x100 cm.
Storie dell'emigrazione

Scagli la prima pietra chi non ha mai avuto macchie d’emigrazione che gli imbrattassero l’albero genealogico…
Proprio come nella favola del lupo cattivo che accusava l’innocente agnellino di intorbidargli l’acqua del ruscello a cui si abbeveravano entrambi, se non sei emigrato tu, è emigrato tuo padre, e se tuo padre non ha dovuto cambiare posto è perché tuo nonno, prima di lui, non poté far altro che andarsene, con armi e bagagli, in cerca di quel pane che la sua terra gli negava.
Cibo o giocattoli?

e Anita Ekberg all'Eine Festival Italienischer Kultur und Lebensart,
19 giugno – 6 luglio 2003.
Nella celebre Inchiesta Jacini, prima ricognizione nell'Italia agricola postunitaria (1877–1885), il signor Giuseppe Morabito, relatore per il circondario di Monteleone (oggi Vibo Valentia), segnalava che con la pasta filata "si fanno dei cacio-cavalli di varie forme... degli scherzi per bambini come i cavallucci (da cui forse il nome di caciocavallo), delle trecce etc."