Era nato a Montescaglioso nel 1929. Figlio di Rocco, massaro di vacche, e di Guadagno Lucia, contadina. Frequentò la scuola elementare solo per due anni. A otto anni, per il padre invalidato e per la povertà della famiglia, fece il pastorello salariato.
"Per sei mesi il padrone delle pecore non mi mandò mai a casa. Stavo in campagna notte e giorno. Mia madre mi voleva vedere e andò a protestare dal padrone. Rividi casa dopo sei mesi. Ci stetti due giorni, poi tornai alle pecore. All'ora del tramonto del primo giorno riportai le pecore allo jazzo e mi allontanai dalla masseria. Presi la strada per il paese. Mamma fu contenta quando mi vide: sorrise. Dopo cena ci mettemmo nel letto per dormire. Quando s'era fatto buio e tutto era silenzio dissi a mia madre che ero scappato dalla masseria. Disse che non dovevo scappare. Ci addormentammo. Mi svegliò all'alba e mi accompagnò alla masseria che era a due ore di cammino. Strada facendo il sole si portava sempre più in alto. Incontrammo il padrone delle pecore che veniva verso il paese. Sospirò. Disse che mi aveva cercato nel bosco e nei fossati per tutta la notte. Era convinto che mi ero smarrito. S'era disperato. Ora, disse, stavo andando dai carabinieri".
Fu badando alle pecore al pascolo, nei boschi di macchia e nelle assolate distese di ristoppie del Metapontino, che iniziò dapprima a intagliare polloni d'olmo per farne uncini e bastoni e, anno dopo anno, a intagliare legno d'olivo, di quercia, di noce e di traversine in disuso della ferrovia. Da allora non smise mai. Continuò da grande, da quando a vent'anni divenne massaro di vacche, e da pensionato. Non smise mai di intagliare. Di scavare pazientemente con l'utensile (un rasoio dal manico conficcato in un corno di capra) appuntito e affilato. Di modellare, con la stessa precisione con cui modellava la pasta per le forme di formaggio, asportando millimetrici, a volte invisibili, trucioli per ricavare figure umane e utensili di un passato non molto lontano; decorati oggetti agropastorali: fiasche, mestoli, stampi per il formaggio, marchi per il pane; attrezzi scomparsi dal nostro quotidiano: telai per la tessiture e la filatura; cavalli in movimento nell'atto di trainare un carro carico di covoni; buoi al pascolo; galli in procinto di cantare dall'alto di un manico di cucchiaio o di una forchetta; volti di donne: filatrici, tessitrici; e melanconici contadini dalla faccia rugosa seduti con in mano un bastone nell'attesa della sera.
È tutta incisa nel legno l'arte di Antonio Lomonaco. E quei pezzi di olivo, di quercia, di noce, di biancospino, d'olmo e di pioppo così lavorati e modellati sono a testimoniare storie, fatiche, amori, sofferenze, gioie e speranze di uomini e di donne che non ci sono più. Sembrano lontani. Invece sono le vicende e la vita dei nostri genitori, dei nostri fratelli maggiori. Le nostre vicine radici.
Vogliamo ricordare Antonio Lomonaco nell'anniversario della sua morte, avvenuta il 17/10/2006, mostrando qui di seguito alcuni suoi lavori lignei.
in basso
L'ucciarola. La memoria, per essere tramandata, va narrata con la poesia e sperimentata sul campo. In questo evento collettivo, immaginando una improbabile fine del mondo che ha risparmiato solo i bambini, un gruppo di adolescenti, guidati da quattro anziani del Museo della Civiltà contadina di Montescaglioso costruiscono "l'ucciarola", il capanno, ricovero temporaneo dei pastori durante la "cortaglia", tecnica di stabbiatura (concimazione) del terreno in cui vengono utilizzati gli ovicaprini. Matera, piazza San Francesco, ottobre 2007
sotto
Robusta corda da crine di cavallo.
Da una busta di crini di cavallo lunghi al massimo venti centimetri si intreccia una potente corda di venti metri. È l'ennesima magia del massaro. Dal vivo, gli animatori del Museo contadino dimostrano la loro tecnica
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