
La recente riscoperta di un testo di Antonio Gramsci; le parole di Gustavo Zagrebelsky, tra i più lucidi pensatori del nostro tempo, animatore del laboratorio pubblico permanente biennaledemocrazia.it – oggi l'inaugurazione dell'edizione 2011; alcuni fatti (non solo) di questi giorni; un esilarante video del grande Ascanio Celestini; l'approssimarsi della Pasqua. Tutti spunti che ci spingono a proporre una sempre utile riflessione sul tema della Democrazia.
Che volete adunque che io faccia di colui che voi chiamate il Re dei Giudei? Ed essi gridarono di nuovo: «crocifiggilo». E Pilato disse loro: Ma pure, che male vi ha fatto? Ed essi vie più gridavano: «crocifiggilo!»
Marco 15, 8-14
Nel processo di Gesù, più di duemila anni fa, Pilato scelse una procedura "democratica" e si appellò al popolo. Se di democrazia si trattò, non v'è dubbio che fu la peggiore di tutte le democrazie. Messo di fronte alla scelta tra Gesù e Barabba, il popolo non esitò a crocifiggere il primo.
In questo episodio, per l'appunto, verità e giustizia testimoniano contro la democrazia perché il vero e il falso, il bene e il male, non possono dipendere dal numero delle opinioni.
Per Zagrebelsky "se si considera la condanna di Gesù attraverso i fattori che l'hanno determinata, appare evidente che tanto il dogma quanto la schepsi possono convivere con la democrazia ma solo come falsi amici. Il dogmatico può accettare la democrazia solo se e fino a quando serve come forza, una forza indirizzata a imporre la verità. Lo scettico, a sua volta, poiché non crede in nulla, può tanto accettarla quanto ripudiarla. Se è davvero scettico, non troverà nessuna ragione per preferire la democrazia all'autocrazia".1 Troverà una ragione non in un principio ma in una convenienza, potrà essere democratico non per idealismo ma per opportunismo.
Entrambi questi modi di pensare sono compatibili con la democrazia ma la loro adesione è un'adulazione interessata. Entrambe non servono la democrazia ma della democrazia si servono per i loro scopi.
Un terzo modo di pensare basato sulla teoria della democrazia come fine, e non solo come mezzo contrappone al dogmatismo e all'opportunismo la ricerca della verità e della giustizia. È il pensiero della possibilità che, partendo dal presupposto della strutturale plurivalenza di ogni situazione, ha come esigenza etica la ricerca orientata al meglio tra le molteplici possibilità.
È questo l'atteggiamento precipuo della democrazia critica, intesa anche come fine e che, oltre a servire, deve essere servita. Il dogmatismo e lo scetticismo, in apparenza compatibili con la democrazia, in realtà la strumentalizzano al loro interesse e potere: il primo accetta la democrazia solo se fino a quando serve come forza per imporre la sua verità, il secondo, non credendo in nulla, potrà essere democratico solo per il realismo del proprio interesse ovvero per opportunismo. Entrambi usano la democrazia se e fino a quando può servire.
I doveri di un giudice. Elogio di Ponzio Pilato
di Antonio Gramsci, 29 settembre 1917
Non è un elogio paradossale. È un giusto e necessario riconoscimento di meriti reali, ed era tempo che questi meriti fossero riconosciuti.
Ponzio Pilato è la più grande vittima del cristianesimo, dell'odio religioso. Il suo nome è stato infamato, è diventato sinonimo di debolezza, di mancanza di carattere. Il cristianesimo ha impastoiato le intelligenze, ha impedito la ricerca spassionata della verità. E si continua a infamare Pilato anche da parte di quelli che sono usciti fuori dalla palude religiosa, che nella morte di Gesù Cristo non vedono altro che un fatto di cronaca giudiziaria mitizzato e dilatato all'infinito dalla passione dei proseliti, dal bisogno di propaganda dei primi cristiani.
Ponzio Pilato è stato un giudice eroico. Persuaso della innocenza di Gesù Cristo, ne ha tuttavia fatto eseguire dai legionari romani la condanna capitale. Sembra un bisticcio, e non è. Ponzio Pilato ha avuto solo la colpa di eseguire scrupolosamente il suo dovere, di rispettare eroicamente le sue attribuzioni. Non ha voluto soverchiare, non ha voluto prevaricare, neppure per obbedire all'impulso della propria coscienza di individuo, di privato cittadino. La qualità giuridica di cui era investito ha fatto tacere la coscienza dell'individuo, del privato cittadino.
Ponzio Pilato era il procuratore di Tiberio nella Giudea. Le sue attribuzioni erano ferramente fissate dalla legge romana, e la legge romana era liberale. Cadeva sotto la sanzione della legge romana solo chi questa legge avesse violato: chi si rifiutasse di pagare i tributi, chi insidiasse il dominio di Cesare e del suo legato. Per il resto i giudei erano indipendenti, la loro condotta era regolata dalle leggi e dagli usi locali: l'autorità romana, che deteneva il potere esecutivo, non faceva che applicare le sanzioni stabilite da queste leggi, da questi usi. Così fu che Ponzio Pilato, a malgrado della canea dei farisei e dei pubblicani (i pubblicani erano allora i fornitori dello Stato), si rifiutò di giudicare Gesù Cristo e lo rimandò sempre a Erode. Le accuse a Gesù mosse non erano contemplate dalla legge romana, non erano reati di Stato. Pilato si rifiutò sempre energicamente ad accogliere le interpretazioni che di questa legge volevano dare i farisei, i pubblicani, i sacerdoti del tempio. Unico interprete della legge dello Stato era lui, non gli irresponsabili vociatori della piazza.
Gesù fu condannato, ma la sentenza fu emessa non alla stregua delle leggi romane; fu condannato, ma Ponzio Pilato non riconobbe alla sentenza carattere imperiale e ubbidì solo alla legge che gli imponeva la esecuzione delle sanzioni anche prettamente locali. Eseguì la sentenza per il rispetto delle autonomie locali che la legge romana imponeva ai magistrati romani.
Il cristianesimo ha infamato Ponzio Pilato. La coscienza moderna dovrebbe esaltare Ponzio Pilato. Dopo la caduta della romanità la coscienza del giure si perdette. È stata una riconquista dei tempi nuovi. L'indipendenza del potere giudiziario è stata una delle più grandi garanzie di giustizia che l'uomo moderno sia riuscito a conquistare. In Francia, in Inghilterra, in Germania, negli Stati Uniti, non in Italia. Lo statuto del Regno d'Italia subordina l'ordine giudiziario al potere esecutivo, ma tuttavia entro certi limiti. Interprete della legge rimane sempre il magistrato; egli solo può e deve giudicare se un cittadino ha violato la legge, se debba essere punito e sotto quale imputazione debba essere arrestato. Neanche in Italia i farisei, i pubblicani, la piazza possono imporre alla magistratura una linea di condotta diversa da quella fissata dalla legge. Eppure cercano di farlo, quelli stessi che si richiamano sempre alla tradizione romana, che si proclamano depositari e futuri propagatori della legge romana, della civiltà romana che si imposta al mondo specialmente per la liberalità del suo giure, per lo scrupolo con cui i magistrati romani osservano la legge.
I nipoti, i depositari della tradizione romana, arrivano fin al ricatto per fame alla magistratura. Domandano che la legge, che le poche garanzie di libertà che la legge italiana accorda ai cittadini, siano violate, e come presso del delitto promettono alla magistratura l'appoggio per un aumento di stipendi.
Era necessaria la riabilitazione di Ponzio Pilato. Quanto più Ponzio Pilato apparirà nella sua vera luce di magistrato ossequiente alla legge, di rivendicatore della sua indipendenza, di solo interprete autorizzato e responsabile del codice dello Stato, tanto più apparirà spregevole la canea dei farisei e dei pubblicani (pubblicani erano in Roma chiamati i fornitori militari) che stridono irosamente: sia crocifisso, sia crocifisso.
1. Gustavo Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, 2007
