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Gennaro Di Cello, 30 agosto 2011, ore 18:00

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Ho appena finito di trascrivere, a futura memoria, alcuni estratti di un intenso intervento conclusivo di Enrico Berlinguer al Convegno degli intellettuali, svoltosi a Roma al teatro Eliseo nei giorni 14 e 15 gennaio 1977, sul tema "L'intervento della cultura per un progetto di rinnovamento della società italiana", e pubblicato nello stesso anno da Editori Riuniti nella collana Il Punto con il titolo "Austerità: occasione per trasformare l'Italia".

L'intervento appare naturalmente datato, inserito com'è nel dibattito culturale di quegli anni (ne sono trascorsi quasi 35) e in un contesto politico e sociale difficile nel quale, come ha scritto Oreste Del Buono nell'introduzione all'opera di Nanni Balestrini, "succedevano allora in Italia, nei dieci anni 1968-1978, cose che oggi non ci si crede. Scioperi generali; rivolte nelle carceri di San Vittore e di Poggioreale; manifestazioni operai-studenti all'Italsider, al Petrolchimico di Porto Marghera, alla Piaggio di Ancona, all'Apollon di Roma, alla Pirelli Bicocca di Milano, alla Fiat di Torino; occupazioni lunghe due mesi alla Bocconi, esami collettivi alla facoltà di Architettura a Milano; spaccature fra gli anarchici, convegni del movimento studentesco; occupazione del Duomo di Parma da parte di cattolici dissidenti (inclusa Lidia Menapace). E più tardi l'immagine d'Italia appariva quella di una società mortifera e necrofila: sedi del potere presidiate da armati, esercito e mezzi corazzati impiegati in funzione di ordine pubblico, moltiplicazione delle polizie private, carceri speciali, iconografia guerresca, dibattiti fra intellettuali concentrati su concetti desueti quali il coraggio e la paura, riti funebri, gruppi di lotta armata (Avanguardie comuniste rivoluzionarie, Brigate di fuoco, Nuclei armati proletari e Nuclei di contropotere territoriale, Brigate Rosse, Ronda proletaria)".

Eppure, nonostante le rughe del tempo e la distanza cronologica, emerge nella retorica del segretario del Partito Comunista un'attualità inattesa. A leggere il suo intervento, opportunamente depurato dalle incrostazioni ideologiche, sembra scritto per interpretare la situazione congiunturale di questi mesi, il crack del sistema economico e finanziario, un crack che ricorda da vicino non tanto la crisi economica del 1929 ma quello abilmente e ritmicamente delineato nell'incipit del canto "Il crack delle banche" scritto da un anonimo nel 1893 e pubblicato nel 1896 sulla rivista L'Asino:

S'affondano le mani nelle casse - crack!
si trovano sacchetti pieni d'oro - crak!
e per governare, come fare?
Rubar, rubar, rubar, sempre rubare!

Dicevamo dell'attualità del pensiero di Enrico. Non a caso, strumentalmente, nell'agosto del 2010, Giulio Tremonti, ospite al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, tra lo stupore degli astanti, ha affermato: "È utile rileggere gli scritti del 1977 di Enrico Berlinguer sull'austerity. Si tratta di un ragionamento sulle responsabilità nelle politiche di bilancio che può costituire una base politica di riduzione per i prossimi anni in tutta la Ue". E ancora: "L'austerità sostenuta da Enrico Berlinguer è un riferimento etico e politico da non trascurare".
Alcuni passaggi del discorso lasciano intravedere l'ampio spettro mentale di Berlinguer, la capacità di leggere in anticipo le trasformazioni della società, l'evoluzione della scena politica, l'immanente questione morale ("I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela", dall'intervista di Eugenio Scalfari, "Che cos'è la questione morale", La Repubblica, 28 luglio 1981) e soprattutto il problema del ruolo oppressivo dei partiti nella vita pubblica, nel mondo dell'informazione e della cultura ("I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a partire dal governo, gli enti locali, gli enti di previdenza, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai tv, alcuni grandi giornali", ibidem).

Nella canzone "Qualcuno era comunista", Giorgio Gaber canta: "Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona". A leggere l'intervento con occhi innocenti, scopri in particolare la grandezza dell'uomo, oltre che del politico; la mitezza e il senso di responsabilità di un padre buono, una figura che ha a cuore il futuro della comunità e del paese: "Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno".

 

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Tano D'Amico, Settantasette, gli anno ribelli, Cartacanta festival-expò, Civitanova Marche, 19/22 maggio 2011.

Ecco i brevi estratti da Austerità: occasione per trasformare l'Italia.
Dare un senso e uno scopo alla politica di austerità: ma quale austerità? Da cosa è nata, da cosa nasce l'esigenza di metterci a pensare e a lavorare attorno ad un progetto di trasformazione della società che indichi obbiettivi e traguardi tali da poter e dover essere perseguiti e raggiunti nei prossimi tre-quattro anni, ma che si traducano in atti, provvedimenti, misure che ne segnino subito l'avvio? Questa esigenza nasce dalla consapevolezza che occorre dare un senso e uno scopo a quella politica di austerità che è una scelta obbligata e duratura, e che, al tempo stesso, è una condizione di salvezza per i popoli dell'Occidente, io ritengo, in linea generale, ma, in modo particolare, per il popolo italiano.
L'austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l'austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici.
Ma non è così per noi. Per noi l'austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l'esaltazione di particolarismi e dell'individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato.
L'austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata. [...] Ma l'austerità, a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l'attuazione, può essere adoperata ho come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato, per una profonda trasformazione dell'assetto della società, per la difesa e l'espansione della democrazia: in una parola, come mezzo di giustizia e di liberazione dell'uomo e di tutte le sue energie oggi mortificate, disperse, sprecate. [...] Il nostro proposito è di arrivare nel giro di pochi mesi all'elaborazione di un testo che rappresenti una prima base di dibattito e di confronto [...] Anche e proprio perché sentiamo tutta la difficoltà di questa impresa, ma insieme anche la sua necessità e la sua forza di suggestione, ci siamo rivolti a voi, ci rivolgiamo a tutte le forze intellettuali affinché siano protagoniste [...] e di proposte ed iniziative volte a ridare vitalità, a rinnovare le istituzioni culturali (a cominciare dalla scuola, dall'università e dai centri di ricerca) e, al tempo stesso, affinché diano il loro apporto alla elaborazione delle scelte complessive, e non solo di quelle di settore, che devono essere alla base del progetto. Un appello, un invito così diretto ed esplicito alla cultura italiana ha oggi una sua ben precisa ragione: infatti, da un lato, come sappiamo, le forze intellettuali hanno oggi in Italia, come del resto hanno in quasi tutti i paesi capitalistici più sviluppati, un peso sociale quale non avevano mai avuto nel passato, e hanno anche, in Italia, in larghissima misura, un orientamento politico democratico e di sinistra; ma accanto a tale dato positivo (Giulio Einaudi ha messo bene in luce questa contraddizione) vi è quello, negativo, della condizione di crisi, di decadimento, di mortificazione in cui sono state precipitate le nostre istituzioni culturali dopo trent'anni di potere democratico-cristiano e di sviluppo sociale distorto e squilibrato. Ed è evidente che nessuna opera di salvezza e di rinnovamento generale del paese può andare avanti senza superare questa crisi, senza sciogliere questa contraddizione: senza, vorrei dire, una crescita del sapere e dell'amore per il sapere, senza un rinnovamento degli strumenti del sapere, affinché la produzione di cultura, e quindi le istituzioni culturali, siano artefici anch'esse del risanamento e del rinnovamento di tutta la società.

I comunisti italiani per l'autonoma e libera funzione della cultura: non chiediamo obbedienze a nessuno.
Il modo in cui poniamo oggi la funzione della cultura per la trasformazione del Paese corrisponde a una tradizione, a una peculiarità del Partito comunista italiano, come partito della classe operaia, come partito democratico e nazionale, come grande organismo che è esso stesso produttore di cultura. Noi ci siamo battuti sempre e ci battiamo per il progresso e l'espansione della vita culturale. Ma in questo nostro impegno dobbiamo sempre guardarci da interventi che possano, nella benché minima misura, ledere l'autonomia della ricerca teorica, delle attività culturali, della creazione artistica, giacché queste hanno come condizione vitale di sviluppo non quella di obbedire a uno partito, a uno Stato, a un'ideologia ma quella di poter dispiegarsi in pienezza di libertà e di spirito critico. Tale impostazione, che è parte della più generale visione che noi abbiamo dei rapporti tra democrazia e socialismo, si distingue da quella di alcuni partiti al potere nei paesi socialisti; atteggiamenti e comportamenti del potere politico quali quelli di cui si ha notizia (per esempio in Cecoslovacchia dove siamo di fronte, addirittura, ad atti di tipo repressivo), sono per noi inaccettabili in linea di principio. Interpretando questa posizione generale del partito, alcuni nostri compagni intellettuali hanno preso l'iniziativa di una dichiarazione pubblica che noi consideriamo giusta ed opportuna. Fa parte irrinunciabile del nostro patrimonio una concezione che riconosce il compito del partito comunista, degli altri partiti democratici e dei pubblici poteri, in quanto siano orientati anch'essi in senso democratico, da un lato la creazione del clima politico morale e, dall'altro lato, l'attuazione delle condizioni materiali pratiche, organizzative che consentano il positivo e libero sviluppo della ricerca, della iniziativa e del dibattito culturale. Ma non è compito né dei partiti né dello Stato esigere obbedienze, far prevalere concezioni del mondo, limitare in qualsiasi modo le libertà intellettuali.
Ed io, cari compagni ed amici [...] voglio concludere il mio intervento proprio con la tranquilla conferma di questa nostra impostazione: da essa non dobbiamo discostarci mai.

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