
Gianni Sassi (Varese 1938, Milano 1993) è stato un grafico e soprattutto un intellettuale di primissimo piano nel panorama italiano e non degli anni 60-90. Una personalità straordinaria ed eclettica, autore di progetti geniali e di infinite iniziative in ogni campo, tutte al di fuori di ogni possibile omologazione, un cultore delle avanguardie artistiche del Novecento, futurismo, surrealismo, dadaismo, situazionisti, Fluxus.
Con Umberto Eco e Nanni Balestrini dà vita alla rivista Alfabeta e successivamente al periodico La Gola. Per non rinunciare alla sua libertà fonda una casa editrice, la cooperativa Multipla, e una etichetta discografica, la Cramps, con la quale incideranno gli artisti del movimento Fluxus John Cage, Juan Hidalgo, Robert Ashley, Jean-Jacques Lebel.
Come talent scout lancia Battiato, Finardi, Skiantos e gli Area di Demetrio Stratos di cui firma tutti i testi (rigorosamente in lingua italiana) in coppia con Sergio Albergoni e con lo pseudonimo Frankeinstein.
Negli anni ottanta, inoltre, organizza eventi culturali, come Milanopoesia, festival letterario ed artistico che per dieci anni di seguito, nell'arco di una settimana, vede esibirsi artisti e poeti di tutto il mondo.
Studente di medicina con la passione della pittura, nel 1963 fonda il primo studio l'Al.Sa, Albergoni-Sassi, rispettivamente art director e copywriter e trasformatosi in seguito in agenzia e soci di una tipografia. La struttura si configura come una sorta di factory warholiana in cui trovano spazio intellettuali e artisti di ogni genere. L'intento di Al.Sa è quello di spaziare, colpire l'attenzione in modo inusuale inducendo alla riflessione.
«La nostra firma era non tanto mettere in evidenza le qualità del prodotto, ma utilizzare un gioco che a volte era sofisticato, a volte era violento, a volte era ironico, a volte scherzoso, ma mai di immediata intelligibilità: un esempio è il manifesto del divano Busnelli».
Grazie a un gioco che al contempo maschera e svela, Sassi si serve della semplice pubblicità di un divano per convogliare l'attenzione non solo sul prodotto ma sull'operazione in sé.
Sul divano fa sedere Battiato che indossa un paio di pantaloni a stelle e strisce (prestati da Claudio Rocchi), degli stivaloni neri e una maglia nera e rosa come un figlio di papà reduce da Woodstok. La faccia è ricoperta con pittura bianca, pastosa, che tende a screpolarsi trasformando il volto in una sorta di maschera.
Siamo nel 1971; racconta Battiato stesso: «Avevo un gruppo (gli Osage Tribe) e in scena ci dipingevamo la faccia di bianco. Un giorno Gianni mi ha chiesto se poteva farmi delle foto... Ha voluto che mi truccassi come quando salivo sul palco ma, sotto le luci, il make up si è seccato creando delle inquietanti crepe sul viso».
A condire il tutto c'è lo slogan: "Che c'è da guardare? Non avete mai visto un divano?"
I manifesti invadono tutta Milano e l'immagine di quello strano personaggio diventa popolare.


