Il primo maggio 1903 circa 16mila italiani addetti agli scavi della metropolitana di New York si mettono in sciopero chiedendo la riduzione dell'orario a otto ore e due dollari al giorno di paga.
Giorni dopo l'agitazione si estende a tutti i settori con lavoratori italiani.
"Essi – scrive il 5 maggio il console Branchi – pullulano in ogni quartiere e aumentano da ora in ora rendendo la situazione oltremodo difficile e pericolosa. Ieri vari leggeri conflitti fra scioperanti e polizia ebbero luogo in punti estremi tanto di New York che di Brooklin per tentativi di intimidazione a quei pochi operai che ancora si trovavano sul lavoro... Come già dissi i leader dell'agitazione non sono italiani. Essi sono i walking delegate delle Unioni Americane coi quali sarebbe inutile per me tentare di comunicare. Il fermento del resto non ha sede fissa. Esso comparisce a un tratto nei punti più disparati e all'apparire della polizia scompare come per incanto. Non si sa, nemmeno dalla Polizia, ove siano i luoghi di riunione".1
L'iniziativa di lotta è naturalmente sostenuta dal giornale socialista in lingua italiana "Il Proletario", ma anche dai prominenti, cioè dagli esponenti più in vista della nostra colonia, che vi vedono una prova di orgoglio nazionale e si dicono disposti persino a metter mano ai portafogli per sostenerla.
Nel clima di entusiasmo che accompagna la mobilitazione, gli scioperanti, grazie al sostegno dell'Unione Federata Centrale del Lavoro, formano una loro "Unione Scavatori e Minatori".2 La solidarietà del sindacato americano, che in mille altre occasioni ha agito come il più odioso avversario degli italiani, non sembra tuttavia disinteressata. Anzi, a parere delle autorità consolari, se adesso questa soffia sul fuoco della protesta italiana è solo per servirsene come testa d'ariete per le proprie rivendicazioni. D'altronde, l'Unione Federata s'è impegnata a non avanzare richieste fino al primo giugno per ciò che riguarda i lavori alla galleria Rapid Transit ed è quindi contraria all'agitazione dei 4mila italiani che vi lavorano mentre sostiene i 12mila impegnati su altri cantieri. Senonché questa prima, grande protesta degli italiani, che per anni hanno subito in silenzio umiliazioni e maltrattamenti, ha creato tali entusiasmi che nessuno riesce poi a convincerli che in parte devono tornare al lavoro e in parte continuare la lotta.3 Si tenta allora un arbitrato per la ripresa dell'attività al Rapid Transit, l'arteria principale del sistema metropolitano della Grande Mela, ma "data la qualità degli scioperanti, in gran parte contadini, nuovi a cotali sottigliezze, non ancora preparati alle vicende complesse di una lotta condotta con piena coscienza dei fini e dei mezzi", ogni sforzo è inutile.4
Per di più durante le azioni di picchettaggio si hanno episodi di violenza e la polizia dichiara d'aver trovato coltelli o pistole su quasi tutti gli italiani arrestati o feriti negli scontri. Nel processo che ne segue il magistrato, scriverà il console, "pronunciò parole severe a nostro riguardo e parecchi giornali si scagliarono contro gli Italiani come contro un pericolo minaccioso per la società americana".
Per mettere fine a un conflitto che potrebbe ulteriormente degenerare se gli appaltatori, come minacciano di fare, dovessero sostituire gli scioperanti con altri operai italiani, il già citato console, non esita a rivolgersi a personaggi di dubbia fama, ma molto influenti nel sottomondo del "padrone system", cioè del caporalato che nel paese a stelle e strisce sembra aver trovato una più grande patria. Contatta allora, fra gli altri, un certo James E. March, italiano americanizzato, leader repubblicano del sesto distretto e Guardiano del Porto di New York. E questi promette di far valere tutta la sua influenza per – dirà – sottrarre gli italiani ai sobillatori e tenerli lontani dalla violenza.
L'intervento di March che "ha larghissimo seguito di amici e aderenti" si rivelerà, a parere del console, efficace. Efficace al punto che i nostri lavoratori torneranno a riprendere pala e piccone senza aver ottenuto nulla. Sarà allora che Enrico Ferri, criminologo di fama e deputato socialista particolarmente attento alla condizione degli emigrati, accuserà il console di non avere tutelato gli italiani arrestati e feriti dalla polizia e, soprattutto, di essere ricorso alla mediazione di un simile personaggio.
Ma chi era James E. March?
Per il New York Times, che ne ha seguito la carriera fin dagli inizi, si tratta di un "astute politician", un furbo politicante. In realtà costui, anche alla luce di quel che ne racconta lo stesso giornale nell'agosto del 1918 occupandosene per l'ultima volta, vale a dire annunciandone la morte, era molto di più.
Dal ritratto, piuttosto critico, che il giornale ne dà in tale circostanza, apprendiamo che il suo vero nome era Antonio Maggio, e che era nato ad Albano di Lucania nel 1868 e sbarcato a New York nel 1880, a dodici anni.
Probabilmente vi era giunto, aggiungiamo noi, da clandestino poiché nessuno dei 266 emigrati arrivati nella Grande Mela fino al 1900 dal piccolo centro lucano aveva il suo cognome.
Come tanti altri emigrati di successo, anche lui agli inizi aveva conosciuto la dura vita di strada lavorando come aiutante di un lattaio ambulante, ma presto, grazie al rapido apprendimento dell'inglese, era stato assunto come impiegato alle ferrovie Erie Railroad. Il salto di qualità tuttavia l'aveva fatto dopo essersi iscritto alla Tammany Hall, la potente e corrotta associazione che in cambio di aiuti e assistenza agli emigrati ne raccoglieva i voti per il partito repubblicano.5
Gli inizi della sua carriera sono così ricostruite dalle pettegole cronache del New York Times: nel 1891 partecipa, in rappresentanza del "Marion Club", ai funerali di un esponente politico6; due anni dopo guida per le Società Italiane Unite un corteo per le celebrazioni di Roma capitale7; l'anno successivo crea un'associazione a suo nome.8
Questa personalizzazione sarà la mossa vincente poiché emancipa la sua creatura da ogni soffocante e preclusivo riferimento campanilistico. Nella sola New York nel 1910 erano infatti ben 388 le associazioni di emigrati italiani, quasi tutte si rifacevano al paese di provenienza o al santo patrono di ognuna e il loro ruolo si riduceva per lo più all'organizzazione di banchetti e festeggiamenti. Spesso erano in lotta fra di loro poiché riproponevano qui la faziosità, se non l'odio, campanilistico esistente in patria fra i vari paesi. Fra le tante testimonianze al riguardo, valga quella del commediografo Giuseppe Giacosa che visitando Chicago nel 1899 rimase colpito dalla "fitta rete di vanità, di bizze, di intrigucci, di dispetti, di piccinerie" che manteneva la locale comunità italiana frammentata in un numero incredibile di "minuscole società".9
A ben altro che alla piccola vanagloria di presiedere una Società San Vito, o San Rocco aspira il nostro poiché sa bene che così facendo creerà riferimenti identitari che spiaceranno a chi ha per santo protettore San Gennaro o Santa Rosalia e non conterà mai nulla.
"Noi assistiamo – scriverà nel 1911 "Il Progresso italo-americano" – allo spettacolo di centinaia e centinaia di Società italiane, tante quanti sono i paesi italiani che contribuiscono all'emigrazione, come se la mutualità, la federazione sotto qualsiasi forma e per qualsiasi scopo, valga di più e sia più forte così infinitesimamente frazionata, noi assistiamo allo spettacolo di centinaia e centinaia di Società puramente di nome, e che tutta la loro attività fanno consistere nello scegliere una divisa fiammeggiante per i soci e nell'organizzare trattenimenti e balli. [...] Una grande Associazione italiana con unicità d'intenti e praticità di vedute occorre. Essa ci farebbe più forti, ci permetterebbe concorrere più largamente alla vita pubblica e avere un peso non indifferente e non ultimo nella bilancia ove si calcolano gl'interessi di tante comunità di popoli".10
Tutto questo Antonio lo ha capito da tempo e si sbaglierebbe a immaginarlo come il classico "bravo ragazzo" dei film sulla mafia italo-americana, un boss con le relazioni giuste per "fare favori" a chi ne ha bisogno, poiché da tempo si è collocato su un gradino più alto di quello del boss di quartiere e agisce a livello politico.
Ad avere bisogno di tutto, dalla casa al lavoro, fra gli italiani che sempre più massicciamente sono arrivati a New York in quegli anni sono in tanti e chi meglio del "paesano" che si è fatto americano ed è di casa nei salotti buoni della politica americana può aiutarli? I beneficiati lo ripagano iscrivendosi nelle liste elettorali e votando secondo le sue indicazioni. Sono talmente tanti che nel 1900 il nostro diventa l'incontrastato leader repubblicano del sesto distretto.11
Imprenditore dell'italianità tout court, organizza e dirige cerimonie di valenza nazionale, dal Columbus day a quella per commemorare l'uccisione di Umberto I. Nel 1900 si guadagna il bastone di Grand Marshall dell'associazionismo italiano e si afferma reuccio di Little Italy con relativa e pittoresca corte di famigliari e assistenti.12
A lui anche Theodore Roosevelt che nel 1899 è diventato, per pochi voti di vantaggio, governatore dello stato di New York deve riconoscenza. Fra l'altro in suo onore, durante la campagna elettorale, a casa March si è tenuto un banchetto di cui si parlerà per mesi nella comunità italiana.
Si sdebiterà nominandolo, appena in carica, Guardiano del Porto di New York in applicazione di una sua discutibile strategia mirata a combattere i boss con l'aiuto dei boss.13
Quello di guardiano del porto era, come sappiamo, un ruolo importante, delicato e pericoloso: la sua attribuzione consacrava, oltre al designato, l'importanza della comunità cui apparteneva. E quella italiana importante lo stava diventando sempre più dal momento che, segnalerà il console nel 1903, cresceva al ritmo di 30-40mila sbarchi al mese. Si trattava di disperati disposti a lavorare a qualunque paga e condizione e March li aiutava a trovare un'occupazione, spesso mandandoli alla Erie Railroads, l'impresa ferroviaria dove ha cominciato la sua carriera. In cambio incassa una spropositata bossatura: un dollaro al giorno sulla paga di ognuno, in alcuni casi anche di più.14
La legge prevede che le agenzie di collocamento percepiscano dai loro assistiti il 10% del salario solo sulla paga del primo mese e che diano conto di ogni loro affare. March non s'è neppure preoccupato di chiedere la licenza di collocatore e nel marzo del 1905 è arrestato e condannato a un anno e nove mesi di prigione. "Sing Sing per James E. March il ladro" titolerà allora impietosamente il New York Times.15
Costretto a dimettersi da ogni carica, ottiene dal giudice uno sconto di pena in cambio della promessa di filar dritto.
Ci si aspetterebbe di vederlo sparire dalla scena, ma le cose andranno diversamente .
I giornali si occuperanno nuovamente di lui quando, ancora fresco di condanna, Odell, il nuovo governatore di NY, di ritorno da un viaggio a Roma gli porta in dono una preziosa medaglia della Madonna fatta benedire dal papa proprio per il suo amico March, italiano e "fervente cattolico".16
Meritava l'onore della pubblicazione un fatto del genere? Evidentemente sì poiché, miracolato dalla medaglia, March nell'ottobre del 1908 ricompare fra Brooklin e Long Island in veste di gran cerimoniere a fianco del nuovo governatore Hugues nella campagna elettorale. A un comizio da lui organizzato sono presenti oltre 2mila lavoratori che hanno rinunziato, si sottolinea, alla pausa pranzo di mezzogiorno per ascoltare l'oratore.17
Grande amico e protettore di March-Maggio in tutti questi anni è stato Charles F. Murphy, detto Charlie il taciturno, il grande capo della Tammany Hall e della giungla di associazioni e interessi che vi fanno capo.18
Quando Murphy sarà accusato di aver costituito fondi neri per mezzo milione di dollari con le "donazioni" di appaltatori edili e d'aver capeggiato una banda di ricattatori e assassini, anche la stella di March si avvierà al tramonto.19
Più che il trionfo dell'America onesta su quella corrotta della stampa scandalistica che di quel sistema faceva parte a pieno titolo – si pensi a William Randolph Hearst, il Citizen Kane del film "Quarto potere", aspirante in quegli anni al governo dello Stato di New York – la loro emarginazione può considerarsi un segno dei cambiamenti in corso.
La fabbrica del consenso della Tammany comincia a perdere colpi quando alcune leggi anticipano la nascita di un vero stato sociale rendendone meno indispensabile l'opera di assistenzialismo clientelare. Anche perché i nuovi emigrati sono meno sprovveduti dei loro predecessori e in ogni caso, vista la dimensione assunta dalla comunità, possono far riferimento per i loro bisogni a reti famigliari e amicali.
A differenza dei funerali della moglie cui avevano partecipato autorità, associazioni e migliaia di persone, quelli di James March saranno piuttosto modesti, non altrettanto è la fortuna – valutata in parecchi milioni – da lui accumulata.20
Forse non aveva avuto torto Enrico Ferri quando aveva sostenuto che incaricare March dell'arbitrato fra operai in sciopero e appaltatori era stato come affidare un gregge al lupo.
Note
1. Archivio del Ministero degli Affari Esteri, Serie Politica 1891-1916, b. 359, Sciopero di Italiani a N.Y., dispaccio del Regio Console generale al Ministro, 5 maggio 1903.
2. Ib.
3. Ib. articolo del quotidiano Evening Post, 24 maggio 1903.
4. Archivio del Ministero degli Affari Esteri, cit. Sciopero di Italiani a N.Y., dispaccio del Regio Console generale al Ministro, 8 maggio 1903.
5. Subway strikers meet. Italian laboreres to vote on, in New York Times, 7 maggio 1903.
6. New question of returning to work pening arbitration.
7. James E. March died, in New York Times, 31 agosto 1918.
8. A. Lorini, Ai confini della libertà. Saggi di storia americana, Donzelli editore, pp. 119-120 e www.nps.gov/archive/elro/glossary/tammany-hall.htm.
9. S. Luconi, Le celebrazioni del cinquantenario e i prominenti italo-americani negli Stati Uniti, in www.asei.eu.
10. Ib.
11. Funeral of Alderman Oakley, in New York Times, 30 marzo 1891.
12. Wouldn't pass the City Hall, in New York Times, 21 settembre 1893.
13. Dian't Hear the Italian's Story, in New York Times, 18 settembre 1894.
14. New York Times, 20 settembre 1900.
15. Big Parade of Italians, in New York Times, 24 agosto 1900.
16. Gore Vidal, Impero, Fazi editore, 2002, p. 592.
17. Port Warden Arrested in War On Padrones. March Supplied Labor to Erie Railroad Without a License, in New York Times, 15 aprile 1905. Sing Sing for James E. March Burglar, in New York Times, 25 marzo 1905.
18. Hughes Off Up State After Stirring Time. Governor Cheered by Thousands in Whirlwind 12-Hour Tour of the City, in New York Times, 29 ottobre 1908.
19. www.cityofsmoke.com/archives/1489
20. James E. March died, in New York Times, 31 agosto 1918, e Says Murphy Gang "Held Out" $500.000. Hennessy Promises Sensational Disclosures About "Political Blackmailers and Assassins". To Produce Contractors, in New York Times, 31 ottobre 1913.