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Cristoforo Magistro, 11 ottobre 2013, ore 18:00

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Filippo De Pisis, Natura morta nello studio, 1931.

Si presentano qui le pagine di apertura del romanzo inedito Con il fritto nei capelli di Giovanna De Simone, che ha concorso alla prima edizione, tenutasi questo anno, del Premio letterario Matarazzo organizzato dalla Pro Loco di Montescaglioso.
Si tratta di una narrazione quasi esclusivamente al femminile poiché la scena è prepotentemente occupata dalla protagonista, Tina, e dalla di lei odiatissima, a parole, madre. Una madre regina della cucina e detentrice di saperi culinari, senso pratico e pregiudizi da terrona che non ha nessuna voglia di integrarsi nella città del Nord dove vive da una trentina di anni e dalla quale la protagonista crede di volersi emancipare detestando tutto ciò che questa fa dice, pensa. Per lo meno fino a quando...
Un romanzo che ben rappresenta la condizione, e le contraddizioni, della generazione tardo-adolescianziale dei trenta-quarantenni attuali e che si legge con piacere e divertimento.

Odio mia madre.
Odio quella sua parlata meridionale anche se è trent'anni – trent'anni cazzo – che abitiamo al Nord e lei è ancora lì che non si fa capire al telefono, che inventa le parole, che pretende che solo la sua sia la maniera giusta di parlare.
Odio il suo modo di vestire un po' da mercato, un po' al passo con la moda ma presa in maniera sobria, odio i suoi twin-set coordinati a pantaloni rigorosamente con zip laterale, odio le sue scarpe basse Valleverde, le sue calze San Pellegrino colore Daino 4°misura, i suoi foularini blu o a pallini bianchi e blu.
Odio l'oro, i collier, gli anelli a più strati sulle dita, l'orologio a maglia fina, le collanine con medagliette di santi inutili, gli orecchini
a clips perché le si sono chiusi i buchi vent'anni fa e lei ha la pelle così sensibile che tutto le fa infezione.
Odio le sue sopracciglia disegnate ad arco tutti i giorni con la pinzetta, i fondotinta troppo scuri, il rossetto color mattone, le matite per le labbra e mi viene la nausea a sentire solo l'odore di Chanel numero 5.

Per fortuna il suo respiro affannoso che gira per le stanze non mi dà più sui nervi, e se non avessi abbandonato casa alle prime avvisaglie, penso che l'avrei già ammazzata.
Oggi proprio non la sopporto.
Sono passata da loro per ritirare i cappotti invernali che mio padre aveva fatto lavare ieri al lavasecco, e lei mi si è parata davanti con quella sua faccia da vittima, sperando di scatenare sensi di colpa che io dovrei avere per qualcosa di arcano e misterioso che ho commesso nei suoi confronti.
Ma che cazzo vuole da me? Che la ringrazi a vita per avermi messo al mondo? A volte riesce a farmi sentire in colpa anche se solo la guardo negli occhi. Altre volte è talmente immedesimata nella parte di vittima che finisce per crederci anche lei, e allora si convince di avere mal di schiena che a fine giornata – forse per lo sforzo di fingere – le viene mal di schiena sul serio.
Di solito quando arrivo a casa dei miei genitori, lei si aggira vestita in tuta blu di felpa, oppure la trovo sempre di spalle, in cucina, a friggere e a impanare anche se sono le tre del pomeriggio, oppure staziona sulla poltrona sfondata del salotto a tentare di fare le parole crociate. A volte mi viene da pensare che tutto ciò sia molto squallido, poi penso che sono sua figlia e non oso neanche immaginare alle probabili eredità che porto dentro di me. Il tempo farà il suo lavoro e io spero di difendermi bene, soprattutto
da lei.

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Luigi Guerricchio, Pannocchie, 1993.

– Ciao, – dico a voce alta entrando nello scuro ingresso dell'appartamento dei miei genitori. La luce gialla e debole del lampadario illumina il telefono sulla libreria-vetrinetta da cui spicca "la sposa americana", noto best seller degli anni '70.
– Sono di qua, – dice mia madre dall'ultima parete del retro-cucina con uno strofinaccio da cucina che le cinge la testa. Sta friggendo, maledetta, e io che ero appena stata dal parrucchiere.
– Sono passata a prendere i cappotti che papà ha ritirato dalla lavanderia.
– Ah, ecco perché ti sei fatta vedere, mi sembrava strano che eri passata di qua solo per venire a vedere come stiamo.
Ma vaffanculo, sibilo tra i denti mentre mi accascio già scoraggiata sulla sedia scrostata di bianco della cucina.
– Che cosa hai detto?
– No, niente, ho guardato l'ora e ho pensato che non faccio in tempo a passare dalla ferramenta...
– Ah, mi sembrava che mi avessi mandato affanculo... comunque tuo padre è uscito ed è da oggi che non si ritira. Sta incazzato
– E con chi?
Silenzio interminabile in cui si sente lo schioppettare mostruoso dell'olio a 200°C che sta aspettando a fauci aperte le sue prede. Mia madre getta sprezzante le povere melanzane al loro patibolo.
– Con te.
Lo sapevo che stavolta toccava a me. Afferro un crostino di pane nel mio taillerino lilla e una valanga di sensi di colpa mi crolla addosso insieme ai fumi fritti della cucina.
Dio, che cosa ho fatto questa volta? Cosa ho sbagliato? Dove mi hanno scoperto? Forse hanno saputo da qualche alta dirigenza terrona della Questura che mi è scaduta la patente un anno fa e della palla enorme che mi sono inventata per poterla rinnovare. Forse pensano che abbia una condotta disdicevole perché con-vivo, vivo con, e non sono sposata. Forse hanno scoperto che mi sono fumata una canna.... no, troppo sorda la cucina alle probabili urla di mia madre "HO UNA FIGLIA DROGATA", non può essere per quello. E comunque sia, visto che i motivi delle sue arrabbiature verso me e mio fratello variano dalle più stupide ("ce l'ho con te perché non puoi andare in giro vestita così!") alle più serie, smetto di pensarci e aspetto.
– È stufo di andare avanti e indietro dalla lavanderia per te.
Sospiro. – Ma se si è proposto lui di farmi questo favore! E io gliel'ho chiesto perché me l'hai detto tu, perché hai detto che senza niente da fare in casa lui non riesce a stare!
Già, da quando mi padre è andato in pensione, sette mesi fa per la precisione, la nostra vita è diventata un incubo. Per mia madre di più, visto che è costretta a vederselo tutti i giorni ciondolare in casa preso dalla sua smania di essere attivo. Alle sette e mezzo lo si trova vestito di tutto punto, a volte persino con giacca e cravatta, che si prende il secondo caffé e guarda l'orologio. E uno si chiede, cosa cazzo guarda l'orologio che non ha niente da fare tutto il giorno e guarda l'orologio. A volte va a svegliare mio fratello, ma generalmente fa così tanto casino che tutti in casa si svegliano da soli.
"A quest'ora già stai in piedi?" Dice tutte le mattine mia mamma in vestaglia di felpa scaccata. "E dove te ne devi andare?" Mio padre soppesa il nervosismo con il fumo e si accende una sigaretta e non risponde. Allora succede che mia madre, stranamente impietosita, gli trova qualche commissione, oppure mi telefona, alle sette e mezzo di mattina, per ricordarmi degli impegni e delle commissioni che devo dare a mio padre.
Mica l'ha diminuita con l'età questa frenesia, mica è scemata con la stanchezza dei trentacinque anni di lavoro in giro per l'Italia. Nooo, noi speravamo si acquietasse, che coltivasse finalmente quegli hobby da quasi anziani che ha agognato per una vita. Buoni libri da leggere, tutte le compilation di canzoni napoletane da ascoltare, le piante. Uno sguardo più sereno sulle cose, la bellezza di assaporarsi i piccoli momenti. Nooo, adesso forte della sua esperienza di Direttore Commerciale costruita negli anni, si aggira in tutti i supermercati di città e provincia ad ispezionare scaffali e date di scadenza, ad infilare bigliettini di consigli commerciali altamente specializzati nelle buchette di cartone degli Ipermercati, destinate ai suggerimenti dei clienti. Due volte l'hanno pure chiamato, i Direttori dei supermercati, per farsi spiegare meglio cosa dovevano fare. E lui si è pavoneggiato due giorni, noi gli abbiamo anche suggerito di proporsi come Consulente Esterno di qualche catena alimentare, sul serio dicevamo, mica per prenderlo in giro. Così avrebbe trovato una sua pace interna e sarebbe sfuggito alla classica depressione da pensionato. Non so neanche se ci abbia provato, fatto sta che adesso si è deciso a mettersi dalla parte dei Clienti del supermercato, per la prima volta
in trentacinque anni sta con loro contro l'azienda, così adesso va per esempio all'Ipercoop e prende gli yogurt a più lunga scadenza dal fondo del banco frigo e li mette in cima. "Ci stanno i vecchietti o i cretini come a te che non sanno fare la spesa, che prendono la prima confezione che gli sta davanti e non leggono che scade tra tre giorni. Così devono buttare metà della roba. Quando non mi vede nessuno io comincio a sostituire la merce".
Forse lo abbiamo anche considerato un po' pazzo in questa fase della sua vita, ma capivamo bene che qualsiasi cosa era meglio pur di non stare in quella casa ove regnava lei, regina e tiranna di ogni soprammobile, quadro, persona o parola che si trovava accidentalmente a vorticare nelle sue vicinanze, lei, mia madre.
– Ma lo sai a che ora va al supermercato? – Continua lei con la padella in mano come uno scettro, – alle 9, appena apre. Si sveglia alle 7 e dopo due ore che sta in casa si sente murì, si è già preso due macchinette di caffè e si è già fumato non so quante sigarette. Se non esce muore
– E allora perché ce l'ha con me?
– Oggi è storto perché ce l'ha con me.
È strano come nella mia famiglia tutte le volte che siamo arrabbiati tra di noi lo siamo sempre per causa di qualcun altro, sempre stretto membro, cosicchè mai nessuno di noi quattro può stare fuori da una discussione avvenuta tra gli altri due. Una simbiosi infernale, e penso che il merito del chiudersi sempre perfetto di questo cerchio sia di mia madre, è lei l'unica che riesce ad avere in tempo breve contatti separati con noi tre, io mio padre e mio fratello, perché è sempre in casa. O meglio, in cucina.
– Ce l'ha con me perché oggi non sto bene. Stamattina appena mi sono svegliata tuo padre era già pronto e organizzato per andare da Combipell a vedere i giacconi insieme a me, a me è venuto il solito giramento di testa che ho alla mattina verso le 10.30, sai la carenza di zuccheri che ho? Devo sedermi, prendermi un caffè, mangiare un po' di pane e qualche cosa... tuo padre si è scocciato di aspettare e si è incazzato. E io gli ho detto "se tieni così fretta, vai, esci" e l'ho mandato affanculo. E lui se n'è andato ed è tornato per ora di pranzo. E allora giustamente io mi sono incazzata. Se te ne vuoi andare, vai! Ma non tornare a pranzo a pretendere il piatto di pasta pronto sulla tavola!
– E tu cosa hai cucinato oggi a pranzo?
– C'erano gli spaghetti con gli scampi, seppie in padella con le patate e melanzane a funghetti.
– Allora hai cucinato!
– E cosa dovevo fa'? Buttare via tutto quel pesce! Se stasera venivate qui a mangiare tu e Davide, a pranzo non cucinavo proprio
L'ha fatto ancora, è incredibile. Ogni pretesto è buono per fare ricadere le conseguenze delle sue azioni sugli altri. Ha cucinato perché io e Davide non andavamo a mangiare lì. Sparge a pioggia come farina piccole polveri di sensi di colpa che ti entrano nei pori e con il tempo si accumulano si accumulano e si cementano in lacci e corde che rendono sempre più improbabile la tua fuga. Le molliche di pane mi si bloccano ad un certo punto a metà gola, e non riescono ad andare giù perché c'è un sasso pesantissimo che mi blocca la saliva e mi ferma il respiro. Bevo con finta disinvoltura acqua direttamente a collo dalla bottiglia. Tanto non mi vede.
– Ma tu lo sai dov'è andato papà adesso?
– Sarà come al solito al campo sportivo con quei quattro suoi amici cretini com'a lui a dire stronzate
– E se non torna?
– Torna, torna, sto facendo la parmigiana di melanzane.

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Carlo Levi, Natura morta d'autunno, 1943

Io odio cucinare.
Ho sempre sbandierato davanti a tutti che odio cucinare, detto anche con civetteria, con battutine e sottintesi che lasciavano presupporre che io sapessi fare chissà quali altre cose. Mi sono sempre detta in intimità che odio mia madre e tutto quello che la rappresenta, e se odio cucinare è solo un passo in più per distanziarmi da lei, e quando con rabbia da miei fornelli sono uscite solo cose immangiabili, ho velato la mia invidia con l'orgoglio, per non essere come lei.
Ma che cazzo vuole da me? Che sia come lei? Non è colpa mia se i tempi sono cambiati, se oggi quasi tutte le donne lavorano o studiano, non è colpa mia se lei ha fatto una vita da casalinga come tutte le sue ave, non è colpa mia se i suoi genitori non l'hanno mai fatta studiare per tenerla "dietro nù bancone di una pizzeria a fornà e' pizze". Adesso non è più così, io posso scegliere di non volere una vita che forse non voleva neanche lei, per questo mi odia. E ora cosa pretende? Che le dica "brava, ti sei sacrificata tutta la vita e come ringraziamento mi piego come tu ti sei piegata ai tuoi genitori"? Io lo so che lei si aspetta questo. Anche se razionalmente non lo ammetterebbe mai, sono sicura che lei vorrebbe questo da me e mio fratello, soprattutto da me, in quanto femmina.
Io la odio mia madre.
Se lei si veste elegante, io mi scelgo i cappottini nei mercatini Caritas, e ora che lavoro e guadagno, spendo stipendi al negozio "Vintage, usato di valore" sotto casa. Se lei si è conservata illibata al matrimonio, io ho messo come dote per la mia convivenza uomini di cui mi vanto orgogliosa sulle dita delle mani. Se lei sta in casa io lavoro, se lei cucina io vado al ristorante, se lei ingrassa io dimagrisco, se lei mi odia io la odio.
Le rivali si fronteggiano con colpi bassi, tipo la pizza di patate che io disprezzo ma mangio avida, o come le scarpe che mi compro e lei prova così per curiosità, perché comunque le fanno schifo. Dove è possibile affondare la lama loro la affondano, e feriscono, per poi raccogliere pietose il moribondo e sentirsi così ancora più vittoriose.
Noi due non litighiamo mai per interposta persona come quei due imbecilli di mio padre e di mio fratello, noi due non abbiamo bisogno di aiutanti e gente che patteggi per noi.
Nella nostra guerra ci affrontiamo sempre da sole, in cucina.
– Che, venite a mangiare qua tu e Davide domani stasera?
– Mah, non so –, e vorrei dirgli di no che non ho voglia, che ho impegni più interessanti, che non ho voglia di vederla, che non ho voglia di puzzare di fritto per tutta la notte, ma non ce la faccio a rifiutare perché lei si siede sulle sedie bianche impagliate della cucina e mi guarda, con quel misto di rimprovero e supplica, e io abbasso lo sguardo e mi ritengo fortunata, più fortunata di lei, e dall'alto della mia superiorità accetto.
– Ok, veniamo –,dico, ma riesco a cogliere, mentre gira l'angolo del retro-cucina con agilità, che si è appena tolta la maschera e ha vinto lei.

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