Non è stato in silenzio: Paolo Verri ha solo lasciato che un altro uomo e un'altra storia raccontassero quello che sta succedendo oggi a Matera, inghiottendo le parole che non poteva pronunciare, sperando fino all'ultimo che qualcosa cambiasse.
Il probabile addio del direttore che si sta consumando in queste ore è stato già palpabile una settimana fa, la mattina del 3 ottobre, quando, in un incontro senza telecamere, senza microfoni e senza tweet – tranne quei pochi dello stesso Verri che riletti ora hanno l'eloquenza di una sentenza –, alla presenza del sindaco De Ruggieri, Mauro Berruto è stato invitato a tenere una lezione su come si costruisce una squadra affiatata, determinata e coesa per centrare l'obiettivo. Insomma, quello che dovrebbe fare Matera e che ha in parte già fatto per raggiungere il primo, difficile traguardo.
A quelli che hanno risposto alla convocazione, che dovrebbero poi costituire l'ossatura del team per ripartire verso il 2019, Berruto ha parlato di come trasformare il potenziale in risultato, del diritto che ciascuno ha di diventare ciò che può diventare. Diritto che, se sussiste per un uomo, a maggior ragione deve valere per una comunità.
Il racconto di Berruto non si può slegare dalla sua storia personale e dai recenti sviluppi. Carismatico, colto e pure torinese di fede granata, Berruto ha allenato la nazionale di pallavolo che ha vinto l'argento ai campionati europei e il bronzo alle scorse olimpiadi, ma nemmeno tre mesi fa si è dimesso dall'incarico perché “consapevole di non sentire più quella fiducia completa nel suo operato che è condizione necessaria per poter svolgere lo straordinario compito” che gli era stato affidato. Il parallelo si disegna da solo.
Il direttore di Matera 2019 ha concluso quell'incontro con poche parole e tante lacrime, indotte sì dall'atmosfera quasi mistica e dalla tensione emotiva che la narrazione generava, amplificata poi dalla suggestione di Casa Cava, ma evidentemente c'era dell'altro. Adesso sappiamo cos'è.
Per far arrivare i risultati non è sufficiente la strategia, è stato detto, ma è determinante l'atteggiamento, che consiste nel “mettere in pratica i valori nel quotidiano”. Oggi Verri sente di essere costretto a far filtrare le idee e le scelte attraverso una serie infinita di livelli di intermediazione, spesso ostativi, che rendono impossibile cogliere il “sogno collettivo” attraverso un sano, splendido “egoismo di gruppo” che, attraverso un percorso di continua condivisione, si era invece cominciato a generare nella prima fase.
La squadra che dovrà raccogliere le energie e indirizzarle verso l'obiettivo avrà la forza di farlo senza il suo capitano? Tanto più che c'è aria di smantellamento e, probabilmente, dopo di lui cadranno gli altri pilastri su cui è stato edificato il progetto vincente e che avrebbero le potenzialità per manterlo intatto.
Certo, errori ne sono stati commessi, ma “sugli errori e sulle sconfitte si costruisce l'apprendimento”. A tratti, qualcuno ha smarrito il senso della missione e si è appiattito nel solco della spaccatura politica, fornendo linfa alla polarizzazione strumentale che è stata operata durante la campagna elettorale e di cui, oggi, si palesano le conseguenze. È però innegabile, ed è la cosa più importante anche per la commissione europea, che il gruppo guidato da Verri sia riuscito a coinvolgere un'intera comunità per sottrarre l'immagine dei Sassi alla staticità della cartolina e imprimerla su una serie di pellicole trasparenti che, montate insieme, restituiscono un movimento che cammina verso il futuro. Il rischio è che adesso Matera, e con essa tutta la Basilicata, resti impantanata nella sua stessa storia; che il glorioso passato si addensi in una melma fangosa da cui sarà difficile staccarsi anche solo per camminare, figurarsi per correre verso quell'orizzonte disegnato dal dossier.
Ecco perché molte persone si sono mobilitate e, appresa la notizia dell'imminente nomina di Verri a capo del dipartimento Turismo della Regione Puglia, stanno sottoscrivendo un appello: vogliono salvare sogno e progetto, cambiare le condizioni che ne stanno determinando l'addio e convincerlo a restare. Sanno che il suo allontanamento determinerà, più o meno rapidamente, la sostituzione di uomini e un cambio di modulo, e dall'arrembante e visionario schema d'attacco si passi all'arroccamento, al catenaccio della tradizione trattata non come valore, ma come pretesto.
Paolo Verri ha solo quarantanove anni, ma di vite professionali ne ha già vissute molte. Ne sta per iniziare un'altra, non così semplice: sarà difficile, per chi è abituato a sentire l'erba del campo sotto ai piedi, riscuotere gli stessi risultati guardando, seppure con un ruolo verticistico, la partita dalla tribuna.
Nonostante le duemila sottoscrizioni in appena un giorno, infatti, il palazzo pare inscalfibile e nessuna apertura istituzionale è arrivata, né arriverà. E senza quella, Paolo Verri scivolerà via. Ormai è troppo tardi.
È più probabile che quei firmatari, con una base ancora allargata, si ritrovino tra qualche anno a sorreggere lo striscione “Ridateci il piemontese”. Speriamo non succeda, ma abbiamo le mani già sporche di vernice.